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21.03.2016  -  PATOLOGIA CRONICA E NUOVO SERVIZIO SANITARIO REGIONALE.

CAMBIA QUALCOSA?

Negli ultimi anni il tema delle malattie croniche si è posto al centro dell’ attenzione non  solo in Italia ma in tutto il mondo, con particolare riguardo per i paesi sviluppati. L’ aumento costante del numero dei malati cronici rappresenta una sfida a livello globale per i sistemi sanitari.
Le malattie croniche sono infatti la principale causa di morte in quasi tutti i paesi sviluppati e sono ormai responsabili di circa l’ 86% dei decessi in tutta Europa.
Queste patologie, definite anche dall’ OMS “non communicable diseases” (malattie non comunicabili) sono patologie che possiedono queste caratteristiche: sono causate da una alterazione patologica non reversibile, sono permanenti, tendono nel tempo a sviluppare nelle persone colpite un tasso crescente di disabilità che si riflette sulla qualità della vita.
Le evidenze scientifiche indicano che i principali fattori di rischio sono comuni e modificabili e tra essi assumono la maggior importanza il fumo di sigaretta, l’ alcol, l’ alimentazione scorretta e la sedentarietà. Questi fattori, assieme a caratteristiche immodificabili come l’ età e predisposizione ereditaria causano ormai la maggior parte dei decessi.
L’ aumento della durata della vita e il progressivo invecchiamento della popolazione hanno portato ad un incremento costante della diffusione di queste patologie ed è prevedibile che il loro peso aumenti ancora nel prossimo futuro. Sempre più spesso inoltre ci si trova di fronte a persone anziane che soffrono di più di una patologia cronica contemporaneamente.
Anche la crescente consapevolezza, che ha portato a un aumento delle diagnosi di malattia in fase precoce, la diffusione di terapie innovative e una migliore gestione delle complicanze hanno fatto sì che la durata di queste patologie si sia allungata nel tempo e quindi sia progressivamente aumentata negli ultimi anni nella popolazione, la proporzione di soggetti con patologie croniche e bisogni assistenziali complessi.  

Tra le diverse malattie croniche, le Cardiovasculopatie sono di gran lunga le più frequenti e ad esse è collegata quasi la metà dei decessi che si verificano. Non deve quindi stupire che su questo versante si punti costantemente l’ attenzione di coloro che si occupano di questa patologia, che richiede certo interventi per gli aspetti acuti, ma che necessita ancor più di curare la gestione di questi malati nel tempo.

Gli attuali sistemi sanitari si sono sviluppati in un’epoca in cui l’ obiettivo era essenzialmente rappresentato  dalle  patologie  acute, principalmente di origine infettiva, che richiedevano trattamenti di breve durata ma intensi, cui ben si prestava una rete ospedaliera per degenti.
Nel tempo le strutture sanitarie sono state via via modificate e ripensate per cercare di far fronte a questi nuovi bisogni sanitari, che, grazie anche ai progressi nelle capacità di cura, possono oggi essere meglio risolti, e con minor spesa economica, con attività sanitarie ambulatoriali e domiciliari. Basilari ormai vengono ritenute per la buona gestione di questi malati una adeguata struttura di medicina di base e modelli di “presa in carico” complessiva del malato in cui prevale una visione orientata alla persona, cioè a prendersi cura di tutti gli aspetti sia sanitari che sociali legati al malato cronico, rispetto a quella precedente, orientata soprattutto alla malattia.

Le patologie croniche, per la loro diffusione e soprattutto per le loro caratteristiche sono ormai la fonte maggiore di spesa sia diretta per i Servizi Sanitari, ma anche indiretta, se a quelli delle cure si aggiungono i costi per la gestione della disabilità che ne deriva, che pesano a loro volta sulla spesa pubblica, ma soprattutto hanno un rilevante peso anche per le famiglie.
Infatti, mentre per le malattie acute il problema della loro gestione si riduce a poche settimane, nelle patologie croniche, una volta avviato il processo,  il soggetto assumerà terapie polifarmacologiche per tutto il resto della sua vita, che può durare ancora decenni, dovrà essere sottoposto periodicamente ad accertamenti complessi e ci si dovrà far carico progressivamente della perdita di capacità di autonomia con il progredire della malattia.
Per esaminare la nostra realtà, le malattie croniche in Lombardia incidono per più del 70% sulla spesa sanitaria globale e riguardano circa 3,5 milioni di pazienti, pari al 30% della popolazione.
Naturale quindi che ci si sia posti da lungo tempo il problema e che esso sia anche al centro della nuova Legge che in Lombardia ha riformato l’organizzazione e la struttura del Servizio Sanitario Regionale e che è già stata accompagnata da una Delibera che, anticipando l’ emanazione prevista anche a livello nazionale di un analogo documento, si occupa specificamente della patologia cronica e della sua gestione.
La Delibera di Giunta Regionale n. 4662 del 23/12/2015 porta infatti il titolo “Indirizzi  regionali  per la presa in carico della cronicita’ e della fragilita’ in Regione Lombardia 2016-2018” e in riferimento alla legge 23 da poco emanata, che riforma il sistema lombardo, ha l’ambizione di tracciare il percorso su questo tema cruciale.

Cosa possiamo dunque aspettarci da questi cambiamenti?
Con la nuova legge regionale sul territorio regionale dunque non esistono più Asl e Aziende Ospedaliere, sostituite dalle nuove Agenzie (ATS) e Aziende (ASST). Le ATS (agenzie di tutela della salute), sono articolazioni amministrative della Regione che si proiettano nei territori e che attuano la programmazione definita dalla Regione, attraverso l’erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie tramite i soggetti accreditati e contrattualizzati pubblici e privati. Si tratta in pratica delle vecchie ASL, accorpate in un numero minore (Mantova e Cremona sono ora insieme nella ATS Val Padana), e a cui sono state tolte per portarle nelle ASST le attività territoriali.

Le ASST (aziende socio sanitarie territoriali), sono invece le strutture operative della sanità lombarda che si articolano a loro volta in due settori aziendali: “rete territoriale” e “polo ospedaliero”.
Mentre la parte ospedaliera continuerà ad erogare i servizi per acuti, la rete territoriale della ASST ha il compito di erogare i seguenti servizi:
1. prestazioni specialistiche, di prevenzione sanitaria, diagnosi, cura e riabilitazione a media e bassa complessità, cure intermedie;

2. prestazioni distrettuali che in passato erano erogate dall’ASL;

3. prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali territoriali e domiciliari anche delegate dalle ATS o dalle autonomie locali.

La Legge ribadisce il principio dell’integrazione fra le due componenti di servizio, per rispondere ai bisogni delle famiglie, dei disabili, delle dipendenze e delle non autosufficienze e viene affermato il principio organizzativo della presa in carico della persona attraverso piani personalizzati di assistenza orientati a integrare la componente sanitaria,  sociosanitaria e sociale, per assicurare la continuità assistenziale e superare la frammentazione fra le prestazioni.
Tuttavia, nella legge, quel che risulta, per il momento, più chiaro è che l’asse centrale su cui si intende giocare una parte importante dell’integrazione è quello ospedaliero, ovvero il passaggio dalla degenza  alle post acuzie o, detto altrimenti, il rapporto tra ospedale e territorio.

A questo livello l’integrazione auspicata è ancora prevalentemente di tipo sanitario, dentro la sanità acuta e in quello spazio di connessione che riguarda prevalentemente post-acuzie, riabilitazione, cure intermedie, malattie croniche.
Meno chiara invece continua ad essere l’idea di come concretizzare l’ integrazione territoriale, quella in cui il comparto sociosanitario è coinvolto in modo significativo e che rappresenta il cardine del problema.
Non ci sono infatti, a tutt’ oggi, elementi chiarificatori circa il dispositivo organizzativo dei nuovi PressT (Presidi sociosanitari territoriali). Cosa saranno nel concreto, come modificheranno gli attuali luoghi di erogazione di prestazioni ( le sedi dei consultori, dei cps, dei ser.t, delle cure domiciliari…), che interrelazioni terranno con il polo ospedaliero, come varierà, se varierà, l’articolazione tra pubblico e privato, sono aspetti ancora piuttosto indefiniti. E non appare ancora chiaro se vi sarà un cambiamento apprezzabile nel ruolo e nell’ integrazione con le altre strutture dei Medici di Medicina Generale, cardine dell’ assistenza sul territorio.

La Conferenza dei Sindaci e le Cabine di regia, ovvero i due organi deputati all’integrazione strategica ed operativa tra parte sociale e sociosanitaria, sono confermati a livello di ATS, dunque su perimetri territoriali molto più ampi delle vecchie Asl. Una scelta che ne rende dubbia l’effettiva capacità di azione ed efficacia visto che già in precedenza, con ambiti provinciali, avevano manifestato grosse difficoltà.
L’articolazione del livello distrettuale è coincidente con il perimetro delle Asst; dunque un distretto grande come tutta la provincia di Mantova, mentre sono previsti all’ interno dei distretti, degli “ambiti distrettuali”, termine del tutto nuovo del quale non sono chiare le funzioni e l’ organizzazione.

Quel che ci appare, a oltre sei mesi dalla sua approvazione è dunque un disegno ancora incompleto ed incerto, del quale, al di là degli intenti dichiarati, è difficile dire se sarà in grado effettivamente di compiere questo passaggio di “integrazione” tra ospedale e territorio e di presa in carico globale della persona, che di fatto è al centro di tutte le riorganizzazioni degli ultimi 40 anni, che rappresenta l’ ambizione di questo modello, e che si presenta ormai come indispensabile per far fronte ai bisogni della patologia cronica.

L’ impressione che si ricava da questi cambiamenti è che in realtà essi siano ancora largamente incompleti e che le maglie organizzative siano ancora molto larghe. Ciò significa che la reale capacità di realizzare un effettivo cambiamento nel modo di affrontare i problemi sanitari e sociali della popolazione sarà largamente legato non tanto al modello in sé, ma alle effettive capacità, soprattutto a livello locale, di realizzarlo effettivamente e di creare le condizioni perché tutti gli attori del processo condividano le scelte e le mettano in pratica ciascuno per la sua parte.



Dr. Gabriele Giannella
Medico di Sanità Pubblica
ex Direttore di struttura “Promozione della salute” del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL

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